Da un 21 febbraio a un altro: il calvario della Grecia

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-di FEDERICO MARCANGELI-

Alla Grecia restano pochi mesi prima di un nuovo rischio default. Luglio è infatti il termine ultimo per pagare 6 Miliardi di euro ai creditori. Liquidità di cui il paese non dispone e che dovrà racimolare con ulteriori tagli o con un aiuto esterno. La prima ipotesi è alquanto improbabile.
I cittadini greci versano già in condizioni precarie (un medico pubblico percepisce meno di 1000 euro al mese di stipendio fisso) e le cause di questa situazione non sono da imputare direttamente a loro. La politica ellenica da anni gestisce la “cosa pubblica” con grande disinvoltura, lavorando con una spesa (corrente e non per investimento) ben oltre la disponibilità.
Per spiegare meglio la situazione, prima del “grande prestito” del 2012, occorre concentrarsi su due anni chiave: il 2001 ed il 2009. Secondo le rivelazioni di Bloomberg, i conti greci non avrebbero consentito un ingresso nell’Eurozona in quell’anno. Sarebbero stati necessari quindi dei correttivi (di circa il 2% del PIL) per rientrare nei parametri prestabiliti per la moneta unica. Volendo evitare delle manovre impopolari, la classe politica greca ha preferito rivolgersi alla “finanza oscura” per “limare” i conti.
Nicholas Dunbar ed Elisa Martinuzzi (i giornalisti che hanno prodotto l’inchiesta) scoprirono che Goldman Sachs aiutò la Grecia per portare avanti questo stratagemma. Con uno swap (uno scambio di flussi di cassa), il 2% del debito in valuta straniera (dollari e yen) fu trasformato in un prestito emesso in euro. Durante questo cambio, la banca d’affari applicò un tasso di cambio fittizio e riuscì ad eliminare 2,8 miliardi di euro dal debito pubblico greco. Il costo immediato per la “commissione” era di 600 milioni. Anche questo ammontare fu finanziato da dal Goldman Sachs, che legò i tassi al mercato obbligazionario.
Dopo l’11 Settembre gli indici ebbero una flessione costante e nel 2005 i 2,8 miliardi erano diventati 5,1. Nel corso degli anni questa ed altre operazioni finanziarie portano ad una complessiva sottovalutazione del problema dei conti pubblici, il tutto ad insaputa del popolo greco. Nel 2009 si conclude invece l’esperienza da primo ministro di Kōstas Karamanlīs. Durante questi anni furono assunti 150 mila dipendenti pubblici, che raggiunsero il milione di unità, fino ad occupare il 21 per cento della forza lavoro. Il debito pubblico passò dal 97% al 130% del Pil, sostenuto da un aumento complessivo della spesa (ad esempio + 2% di quella sanitaria e +1.2 % di quella pensionistica).
Arriviamo così al 21 Febbraio del 2012 con il prestito da 130 Miliardi erogato dalla BCE. Questa seconda tranche di aiuti (dopo i 100 miliardi del 2011) era abbinata ad una ristrutturazione del debito. Il 53,5% del credito privato (molto del quale di banche greche) è stato tagliato e le scadenze del 31% delle obbligazioni sono portate in un range tra 11 e 30 anni.
Il problema risiede nel 69% dei prestiti obbligazionari da restituire a breve termine. Proprio da questa scelta deriva la necessità di denaro liquido e di ulteriori tagli. Alla luce dei fatti e della nuova crisi greca, la soluzione adottata dalla banca centrale appare quantomai inefficace ed iniqua. Una ristrutturazione “leggera” di questo genere non ha fatto altro che rimandare di anno in anno il collasso, facendo gravare sui cittadini greci delle colpe non loro. E’ quindi ingiusto parlare di “debito greco” quando gran parte dei danni sono stati prodotti da scelte politico/finanziarie assolutamente errate. In queste ore il “caso Grecia” è tornato di attualità con la minaccia di nuovi sacrifici: una terapia che può solo ammazzare un malato già terribilmente debilitato.

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