La democrazia virtuale di Grillo e la reale onestà intelletuale

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-di ANTONIO MAGLIE-

Il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, in una intervista al “Financial Times” sollecita la creazione di una rete di agenzie europee capaci di individuare e bloccare le notizie false (bufale) che attraversano il mondo del Web. Beppe Grillo insorge e parla di censura e inquisizione. Comprensibile la reazione del comico che ha collocato, insieme a Davide Casaleggio, il suo “core business” nel mondo del web (da qui anche l’acrimonia contro gli altri mezzi di informazione, a cominciare dai giornali, che vanno evidentemente eliminati per garantire un’ ulteriore espansione del business). Probabilmente Pitruzzella sbaglia a proporre la questione sotto forma di “reti pubbliche” di controllo perché la cosa effettivamente alimenta l’idea di un “occhio poliziesco” che opera secondo criteri sfuggenti e comunque organici al potere. Così come è opportuno evitare, in un sistema democratico, l’eccessiva invadenza dello Stato (o di un organo sovranazionale). Ma Grillo, mosso da interessi personalissimi, preferisce non rendersi conto di un problema di cui persino Mark Zuckerberg ha preso atto e cioè che il web, i social stanno lentamente diventando un far west, una zona franca (un po’ come le curve degli stadi) in cui tutti possono dire tutto (e come negli stadi, dominano gli ultrà, veri e propri squadristi cybernetici per proprio conto o per conto terzi) senza regole e senza legge.

Ecco perché la soluzione la si può ritrovare in quello che scriveva Norberto Bobbio in un famoso saggio sulla libertà: “Se lo stato diventa sempre più invadente e questa invadenza è inevitabile, si faccia in modo che i limiti diventino, per quanto è possibile, auto-limiti, nel senso che i limiti alla libertà vengano posti da coloro stessi che li dovranno subire”.

Grillo, invece, si elegge a paladino della “libertà assoluta”, comprendente evidentemente anche quella di prendere in giro il prossimo o di manipolarlo attraverso notizie false. Pitruzzella definisce il prodotto di questo esercizio post-verità. E il comico genovese replica che chi ragiona in questa maniera poi finisce per sorprendersi della Brexit, dell’esito del referendum e della vittoria di Trump. Dimenticando, però, che non tutto il sessanta per cento che ha votato contro la riforma costituzionale proposta da Renzi si ritiene rappresentato dalla sua un po’ confusa idea di democrazia e che il tycoon americano, a sua volta, da quelle che il presidente dell’Antitrust chiama post-verità e che noi semplicemente chiamiamo bufale è stato aiutato in maniera decisiva (delle venti notizie false circolate durante la campagna elettorale e che sono state anche le più lette, diciassette hanno favorito il neo-presidente: difficile definire “libero” un processo democratico così condizionato).

Il Pew Research Center americano ha condotto una ricerca dalla quale è emerso che il ventitré per cento degli intervistati ha condiviso notizie false; il 16 ha spiegato di averlo capito solo successivamente ma il 24 ha invece ammesso di averlo fatto scientemente per far passare una posizione politica o anche per allertare gli altri frequentatori del web circa l’infondatezza della notizia. Proprio quello che è accaduto durante la campagna presidenziale ha indotto Mark Zuckerberg, deus ex machina di Facebook, a cambiare registro e ad assumersi una responsabilità nuova, realmente (e non solo virtualmente) sociale: “Siamo qualcosa di più di un semplice distributore di notizie. Siamo un nuovo tipo di piattaforma per il discorso pubblico. Questo significa che abbiamo anche un nuovo tipo di responsabilità, che consenta alle persone di avere le conversazioni più significative e che costruisca uno spazio dove le persone possano informarsi”. E l’inventore di Facebook ha fatto esattamente quello che diceva Bobbio: si è messo al lavoro per costruire un sistema che eviti al “suo” social di perdere credibilità veicolando notizie palesemente infondate.

Grillo da anni punta il dito contro i giornali e i giornalisti. Difficile capire dall’alto di quale pulpito reciti i suoi sermoni (un paio di Vaffa-Day?). E, comunque, quelli contro cui lui punta il dito, per quanto criticabili in molti comportamenti, in linea di massima hanno alle spalle una “scuola”, una formazione (a volte pure culturale) e un quadro di regole (anche penali) a cui devono comunque attenersi. Tutte cose che nel web, a parte lodevoli eccezioni, in ampia misura sembrano mancare (soprattutto il quadro di regole). Chiedersi se sia giusto che la libertà di informazione si trasformi in libertà di diffamazione, palese manipolazione e strumentale travisamento della verità, non significa invocare il Minculpop, ma sollecitare la costruzione di un codice etico, deontologico che eviti la trasformazione del web nel luogo in cui l’unica regola certa è quella dell’arbitrio.

antoniomaglie

3 thoughts on “La democrazia virtuale di Grillo e la reale onestà intelletuale

  1. Si rende necessario intervento per limitare utilizzo di simili strumenti per diffondere notizie false e denigrare gratuitamente gli avversari poiliti, di cui soprattutto Grillo e Casaleggio, fanno ampio uso.

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