Irpinia 1980: una ferita ancora non rimarginata

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-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Quando sabato scorso, 19 novembre, alle 7,39 a Grottaminarda, Villanova del Battista, Ariano Irpino e Zungoli le mura delle case hanno tremato, la paura ha fato correre immediatamente la memoria a trentasei anni fa. Per fortuna questa volta la scossa è stata di magnitudo “contenuto” (3.1) nonostante la scossa si sia sviluppata a una profondità inferiore (20 chilometri) rispetto a trentasei anni fa (percorse la zona a una profondità di trenta chilometri). Perché pure in un Paese che viene scosso quotidianamente nelle sue viscere da migliaia di terremoti (la stragrande maggioranza dei quali non li avvertiamo nemmeno) il 23 novembre 1980 rimarrà per sempre impresso nella memoria collettiva.

Fu una tragedia: grandissima, prima con quei 2.735 morti, novemila feriti e trecentomila sfollati; inaccettabile dal punto di vista morale dopo, nonostante i severi moniti del Presidente Sandro Pertini, il suo dito accusatorio puntato contro chi nei terremoti del passato (si riferiva in particolare al Belice) si era arricchito sulle disgrazie altrui.

All’indignazione ha fatto seguito la rassegnazione e, infine, l’oblio. Il terremoto dell’Irpinia ha aggiunto alle pagine tragiche scritte nei novanta interminabili secondi cominciati esattamente alle 19,34, pagine vergognose che nessuno è stato in grado di cancellare. Non ci riuscì Pertini che per quella sua denuncia contro i ritardi nei soccorsi finì nel mirino dei partiti. Il ministro dell’Interno responsabile dell’emergenza, Virginio Rognoni, presentò le dimissioni ma il presidente del consiglio dell’epoca, Arnaldo Forlani, lo invitò a soprassedere.

Poi ci provò un altro presidente, in quel momento ancora parlamentare: Oscar Luigi Scalfaro, ex magistrato, nominato alla guida della commissione d’inchiesta (fu ribattezzata “Mani sul terremoto”, riecheggiando il titolo di un famoso film di Francesco Rosi sulle spregiudicate imprese speculative di un parlamentare-imprenditore edilizio) la cui costituzione venne stabilita da una legge del 1989. Cominciò a indagare nel 1990 e terminò i suoi lavori il 27 gennaio dell’anno successivo spiegando con estrema chiarezza che i 58 mila e seicento miliardi di vecchie lire spesi nei dieci anni successivi al sisma di magnitudo 6.9 e del decimo grado della scala Mercalli, si erano praticamente volatilizzati, finiti nel nulla, senza dare alcun sollievo né conforto a coloro che avevano subito lutti e danni. Nel 1990, d’altro canto, 28.572 persone vivevano ancora nelle roulotte o nei container mentre 4.405 erano ospitate negli alberghi.

Quindi ci provò la magistratura. Nel mirino finirono esponenti di primo piano della politica italiana dell’epoca: Ciriaco De Mita, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Antonio Gava, Francesco De Lorenzo e Giulio Di Donato. Tutti uscirono indenni perché assolti con formula piena o per sopraggiunta prescrizione. Pagò solo il presidente della regione Campania, Antonio Fantini. Ma la realtà è che il terremoto si trasformò in una grande slot machine con la complicità della politica. Perché se è vero che l’area colpita fu piuttosto vasta, è anche vero che in tanti si prodigarono per allargarla sempre di più. Infatti se all’inizio, nei giorni immediatamente successivi alla scossa, i paesi ufficialmente colpiti erano appena trentasei, sei mesi dopo per decreto del governo presieduto da Arnaldo Forlani erano già saliti a 280. Alla fine ci si fermò a 687, cioè l’8,5 per cento dei comuni italiani. Evidentemente una enormità.

Gli stanziamenti statali per ricostruire un’area di 17 mila chilometri quadrati che si estendeva dall’Irpinia al Vulture coinvolgendo province di Avellino, Salerno e Potenza (i comuni maggiormente colpiti furono Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna), continueranno sino al 2023. Nel frattempo l’ufficio studi di Montecitorio nel 2009 ha stabilito che lo Stato aveva sino a quel momento speso qualcosa come 47,5 miliardi di euro. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, a sua volta, in un rapporto sui costi dei terremoti in Italia ha spiegato che in valori nominali i finanziamenti sono stati 23,5 miliardi che, però, dopo l’inevitabile rivalutazione, salgono a 52 miliardi (nel complesso l’Italia negli ultimi 45 anni, sino al sisma emiliano del 2012, per riparare i danni delle numerose tragedie prodotte dalle bizzose faglie e aggravati dall’incuria degli umani, ha speso qualcosa come 122 miliardi).

Ora stiamo facendo i conti con i tre terribili terremoti che tra agosto e ottobre hanno distrutto un pezzo non irrilevante dell’Italia centrale. Questa storia e questo anniversario possono essere utilizzate come un monito: mai più una pagina vergognosa come quella scritta col sangue e i sacrifici della povera gente e per l’arricchimento di un ceto politico famelico e di una criminalità (i maggiori sprechi si sono avuti nelle aree dominate dalla camorra) che non avendo rispetto per i vivi a maggior ragione non riesce ad averlo per i morti.

Valentina Bombardieri

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