Costituzione: perché Renzi non cancella il pareggio di bilancio?

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-di ANTONIO MAGLIE-

La tragedia del terremoto ha svelato non solo le debolezza del nostro territorio ma anche quella del nostro governo dell’economia e l’insensibilità di un’Europa dominata dalle rigidità tedesche (soprattutto quando si tratta di sottolineare i vizi degli altri e di soprassedere sui propri) e dalla cecità di una burocrazia largamente condizionata dai “veti” del Nord. Matteo Renzi ha fatto la voce grossa; Pier Carlo Padoan, normalmente molto cauto, lo ha seguito su quella strada. Ma a parte il fatto che un litigio sullo 0,1 per cento del Pil appare piuttosto avvilente oltre che inutile (come peraltro sottolinea un parlamentare come Francesco Boccia che di conti se ne intende), il problema che emerge attraverso eventi imprevisti e imprevedibili come il terremoto è un altro, decisamente più serio e riguarda l’elasticità con la quale bisogna maneggiare gli strumenti della politica economica.

Negli anni è prevalsa l’idea che la risposta a tutti problemi sia nelle norme. Ma la realtà spesso va oltre. Soprattutto in economia dove non esiste un pilota automatico che ti fa navigare con sicurezza assoluta verso il porto più tranquillo perché all’improvviso si può sempre scatenare una tempesta che ti impone di scegliere tra un cambiamento di rotta o la collisione con uno scoglio. Ed è esattamente quello che è avvenuto in questi anni in cui l’Europa assumendo come un principio evangelico la dottrina tedesca ha iniettato dosi crescenti di rigidità nella politica dei vari stati senza compiere distinzioni.

Noi tutto questo lo abbiamo accettato, auspice il governo di Mario Monti. Nel più totale silenzio e disinteresse (anche di chi oggi sbraita insieme a Renzi contro l’Europa semmai proprio in funzione anti-Renzi) il governo presieduto dal senatore bocconiano ha prodotto un vero mostro giuridico e come tale sottolineato da un grande giurista come Stefano Rodotà, cioè l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Ora è evidente che non è quello il luogo per definire regole stringenti di politica economica perché se da un lato è vero come diceva Calamandrei che la legge fondamentale se poi non viene applicata nei principi è soltanto un pezzo di carta, dall’altro è lapalissiano che tutto ciò che viene inserito in quegli articoli finisce per assumere un carattere molto più rigido: non a caso il processo legislativo previsto per il varo di quelle norme è aggravato con la doppia approvazione nei due rami del Parlamento. Non è, d’altro canto, un caso che sia stata esclusa l’idea di trasferire le regole elettorali in una norma costituzionale pur avendo esse un carattere costitutivo in rapporto al sistema.

Se Renzi vuole realmente riappropriarsi di una autonomia di azione in campo economico, se, insomma, vuole restituire all’Italia una capacità di incidere in misura maggiore sulla propria vita e sul proprio destino, se vuole effettivamente dare un seguito alle cose dette insieme a Obama sul prato della Casa Bianca in materia economica a proposito di una austerità che ha ammazzato nella culla europea la neonata ripresa, allora non ha altro da fare che dare un ultimo sfogo alla sua creatività costituzionale. Non ci vuole molto e, forse, raccoglierebbe un consenso decisamente più ampio di quello ottenuto con la legge di revisione che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 dicembre. In fondo è sufficiente ripristinare l’articolo 81 della Costituzione nella sua antica formula (“Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”) cancellando tutto quello che venne disposto con legge costituzionale n.1 del 20 aprile 2012 (“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. L’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere, adottata a maggioranza assoluta nei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”). Questa strada darebbe alla sua battaglia con l’Europa (e la Germania) un senso molto più compiuto di un litigio di facciata sullo 0,1. Se la sente di batterla?

antoniomaglie

One thought on “Costituzione: perché Renzi non cancella il pareggio di bilancio?

  1. Nel novembre-dicembre 2008, Bush d’intesa con Obama, neo-eletto, e poi Obama da solo, dopo l’insediamento, cambiarono la politica economica degli Stati Uniti dandole un segno fortemente espansivo. Non ebbero bisogno di cambiare la Costituzione. Con riguardo all’Unione europea e all’Italia serve una regola generale e flessibile sul pareggio di bilancio se si vogliono coordinare le politiche economiche e fiscali dei paesi membri. Le questioni, da sempre discusse dalla teoria della politica economica sono due. La prima è l’arco temporale e la seconda sono le voci del bilancio a cui applicare la regola del pareggio . Se devi governare il ciclo economico che, di norma, si svolge in periodi pluriennali, la regola del pareggio non può essere applicata nel breve termine che qui coincide con l’anno finanziario. La seconda questione che si pone è quella di distinguere tra partite correnti e spese in conto capitale. Io sono per la gestione più rigorosa delle partite correnti, ma se si vuole conciliare la gestione delle congiunture sfavorevoli o favorevoli con l’accumulazione del sistema economico che è processo di medio-lungo termine, si deve applicare la c.d. golden rule, alias, tener fuori gli investimenti dal saldo del bilancio annuale. Dopo 32 mesi al governo, Renzi che ama la velocità nelle decisioni, ha capito che le spese straordinarie per ricostruire le case distrutte dai terremoti e mettere in sicurezza le altre costruite senza rispettare le regole antisismiche sono investimenti. Alla buonora, ma le voci da tener fuori dal saldo annuale di bilancio – qualunque sia lo stock di debito pubblico – sono ben più numerose di quelle discendenti dalle calamità naturali.

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