Bankitalia e Corte dei Conti bocciano Padoan

img_8146

Quella di ieri per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è stata una pessima giornata. La sua nota di aggiornamento al Def (documento di economia e finanza) non ha convinto i “controllori”. L’ufficio parlamentare di bilancio definisce gli obiettivi ambiziosi. Ma le previsioni del ministro non convincono due fondamentali autorità i campo contabile: la Banca d’Italia e la Corte dei Conti. Proponiamo per intero il testo dell’audizione di Luigi Signorini, vice-direttore della Banca d’Italia, alle commissioni riunite di Camera e Senato (bilancio, tesoro e programmazione) e le osservazioni conclusive proposte nella stessa sede dalla Corte dei Conti.

* Audizione Luigi Signorini, vice-direttore Bankitalia

Signor Presidente, Onorevoli Deputati, Onorevoli Senatori,

ringrazio le Commissioni quinta della Camera e quinta del Senato per avere invitato la Banca d’Italia a questa Audizione, nell’ambito dell’esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2016. Dato il breve tempo trascorso da quando il documento è stato reso disponibile, mi soffermerò soprattutto sul quadro macroeconomico e sull’andamento dei conti in corso d’anno; mi limiterò poi ad alcune riflessioni preliminari sui programmi per i conti pubblici e sulle prospettive per i prossimi anni.

1. Il quadro macroeconomico

L’economia italiana e quella dell’area dell’euro continuano a beneficiare di condizioni monetarie e finanziarie estremamente accomodanti. Il referendum britannico ha provocato sui mercati finanziari internazionali sensibili oscillazioni iniziali, che si sono poi attutite; a distanza di qualche mese gli effetti sui mercati sono contenuti, anche grazie all’azione delle autorità monetarie. Rimane però l’incertezza sulle conseguenze a più lungo termine della decisione britannica di uscire dall’Unione europea. Il commercio mondiale aumenta meno del previsto.

Nell’area dell’euro la crescita prosegue ma a ritmi più modesti di qualche mese fa. L’inflazione al consumo risale gradualmente, ma quella di fondo non segnala ancora una robusta tendenza a riportarsi verso l’obiettivo.

Secondo le proiezioni macroeconomiche dello staff della BCE, diffuse lo scorso 8 settembre, il PIL dell’area dell’euro crescerà dell’1,7 per cento quest’anno e dell’1,6 sia nel 2017 sia nel 2018. L’inflazione al consumo sarebbe pari allo 0,2 per cento quest’anno, per poi risalire all’1,2 per cento il prossimo e all’1,6 nel 2018.

In Italia la battuta d’arresto della crescita dell’attività economica nel secondo trimestre – inattesa all’inizio dell’anno – ha riflesso la stagnazione della domanda interna; il calo degli investimenti in macchinari e attrezzature è stato sostanzialmente compensato da un nuovo aumento della spesa in mezzi di trasporto.

Dall’avvio della ripresa nel 2014 gli investimenti sono stati meno dinamici sia rispetto agli altri paesi dell’area dell’euro, sia rispetto a quello che normalmente si osserva nelle fasi di uscita da una recessione. Le nostre analisi e le informazioni provenienti dai sondaggi presso le imprese indicano che l’accumulazione è tuttora ostacolata dalla debolezza delle prospettive della domanda e dall’incertezza sulle tendenze future dell’economia, sugli sviluppi geopolitici, sulle implicazioni del referendum britannico.

Non vi è più evidenza che la disponibilità di credito sia un ostacolo rilevante per le scelte di investimento; il credito alle imprese non cresce essenzialmente a causa della debolezza della domanda. Le differenze tra classi di imprese sono significative: l’andamento dei prestiti è migliore nelle imprese con più di 20 addetti e in quelle dei servizi; rimane negativo nel settore delle costruzioni. Prosegue la riduzione dei tassi di interesse sui nuovi prestiti e si è ormai quasi annullato il differenziale nel costo medio del credito alle imprese tra Italia e area dell’euro.

Nei tre mesi terminanti in agosto il credito al settore privato non finanziario ha ristagnato, al netto dei fattori stagionali; mentre crescono ancora i finanziamenti alle famiglie (1,4 per cento in ragione d’anno), i prestiti alle società non finanziarie si sono contratti dell’1,2 per cento. Per i nuovi finanziamenti alle imprese il costo del credito è sceso di circa 25 punti base rispetto alla fine del 2015.

Il mercato del lavoro dà segnali nel complesso positivi. Nel 2015, grazie anche alla decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato e all’introduzione del contratto a tutele crescenti, l’occupazione era cresciuta più rapidamente di quanto non lasciasse prevedere l’andamento del prodotto. Nel 2016 l’occupazione ha continuato a espandersi; nel corso dell’anno sono emersi segnali di rallentamento, presumibilmente anche in connessione con il ridimensionamento della decontribuzione.

Dopo l’arresto del secondo trimestre, il PIL – sulla base delle informazioni fornite dagli indicatori congiunturali – potrebbe tornare a crescere nel terzo, anche se a ritmi molto modesti.

A luglio la produzione industriale è salita dello 0,4 per cento, riportandosi sui livelli medi del secondo trimestre. A settembre è risalita la fiducia delle imprese per tutti i settori dell’attività economica, anche grazie a giudizi più favorevoli sugli ordini. Rimane ancora relativamente elevata, ma al di sotto dei valori di fine 2015, la fiducia delle famiglie. Secondo l’Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita di settembre, le imprese si attendono nel complesso un aumento della spesa per investimenti nel secondo semestre.

Il quadro macroeconomico della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF) è meno favorevole rispetto a quello di aprile. Nello scenario tendenziale si prevede ora che il PIL dell’Italia aumenti dello 0,8 per cento quest’anno (contro l’1,2 previsto in primavera) e rallenti lievemente il prossimo (0,6 per cento, contro l’1,2). La revisione riflette il peggioramento del contesto internazionale, in particolare l’ulteriore indebolimento del commercio mondiale e l’aumento delle quotazioni del greggio, i cui effetti sulle esportazioni e sull’attività produttiva dell’Italia sarebbero accentuati dall’apprezzamento del tasso di cambio. L’inflazione, misurata con il deflatore dei consumi, si attesterebbe allo 0,1 per cento quest’anno e salirebbe all’1,7 nel 2017.

Lo scenario tendenziale per il biennio 2016-17 è sostanzialmente in linea con le stime oggi disponibili. Tra le valutazioni recenti dei principali previsori privati e istituzionali, la crescita stimata dal Governo per il 2017 si colloca nella parte bassa; le altre previsioni tuttavia generalmente non includono gli effetti negativi derivanti dall’inasprimento della tassazione indiretta previsto dalle cosiddette clausole di salvaguardia, che invece sono presi in considerazione nello scenario a legislazione vigente del Governo.

Dopo la pubblicazione, in agosto, del dato sull’andamento del PIL nel secondo trimestre, i principali previsori hanno rivisto significativamente al ribasso le stime di crescita anche per il 2017. Secondo le previsioni di settembre dell’OCSE e secondo la media delle valutazioni degli analisti censiti da Consensus Economics nello stesso mese, il PIL dell’Italia si espanderebbe dello 0,8 per cento sia quest’anno sia il prossimo. Un quadro meno favorevole è stato delineato, lo scorso 15 settembre, dal Centro Studi di Confindustria, che stima un aumento del prodotto dello 0,7 per cento quest’anno e un rallentamento allo 0,5 nel 2017.

Passando a considerare lo scenario programmatico, il Governo prospetta per l’anno prossimo una crescita del prodotto nettamente più elevata (0,4 punti in più) e un’inflazione più bassa (0,8 punti in meno) rispetto al quadro tendenziale. La differenza è dovuta all’annullamento dell’inasprimento delle aliquote dell’IVA previsto dalle clausole di salvaguardia, nonché agli altri interventi che il Governo intende realizzare con la prossima legge di bilancio: tra questi vengono elencati investimenti pubblici in infrastrutture, incentivi fiscali in favore delle imprese che investono, interventi di sostegno ai pensionati.

Nel complesso le misure previste per il 2017 comportano un aumento dell’indebitamento netto di quasi mezzo punto percentuale del PIL rispetto al suo valore tendenziale, e un incremento del prodotto di ammontare analogo. Il moltiplicatore implicito in questa previsione è elevato, dati anche i ritardi che normalmente caratterizzano la risposta della spesa privata alle misure di bilancio. Nelle valutazioni del Governo il mancato aumento dell’IVA avrebbe un impatto positivo sul tasso di crescita del PIL pari a 0,3 punti percentuali nel 2017, un effetto piuttosto forte rispetto a stime econometriche basate sui dati del passato. Le altre misure espansive fornirebbero un ulteriore contributo di 0,3 punti percentuali. Poiché molto dipende dalla natura e dalle modalità degli interventi, per una valutazione compiuta occorrerà attendere i dettagli; è sicuramente da condividersi la priorità attribuita al sostegno degli investimenti.

Il Governo ha richiesto al Parlamento l’autorizzazione ad accrescere il disavanzo rispetto a quello indicato nel nuovo quadro programmatico, fino ad altri 0,4 punti percentuali del prodotto, per finanziare maggiori spese connesse con eventi eccezionali, in particolare quelle per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare e per la gestione dei flussi migratori. Gli effetti sul prodotto di tali eventuali maggiori spese non sono per ora inclusi nello scenario programmatico.

Per il biennio seguente (2018-19), le previsioni di crescita del PIL del quadro tendenziale sono invariate rispetto alle stime dello scorso aprile (1,2 per cento nel 2018 e 1,3 nel 2019); sono invece state riviste al ribasso nello scenario programmatico, di 0,2 punti percentuali all’anno. La revisione riflette verosimilmente la composizione degli interventi programmati e, in particolare, la rimodulazione degli inasprimenti previsti per le imposte indirette.

2. I conti pubblici nel 2016

Rispetto al DEF di aprile, la Nota rivede marginalmente le stime dei conti pubblici per l’anno in corso. L’indebitamento netto dovrebbe collocarsi al 2,4 per cento del PIL, un decimo di punto in più rispetto a quanto previsto in primavera. La variazione è principalmente riconducibile alla minore crescita attesa; in direzione opposta sono state riviste al ribasso le spese in conto capitale e al rialzo le imposte dirette. Nonostante la nuova stima sia meno favorevole, il disavanzo si ridurrebbe rispetto al 2015 (dal 2,6 al 2,4 per cento del PIL).

I dati sul saldo e sulle entrate di cassa finora disponibili sono compatibili con le stime di indebitamento netto del Governo. Almeno nei primi sette mesi del 2016 (confrontati con lo stesso periodo dell’anno scorso, tenendo conto degli effetti delle principali operazioni che non hanno impatto sull’indebitamento netto e di varie disomogeneità temporali), si può stimare che il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche abbia registrato un miglioramento anche leggermente superiore a quello coerente con le stime del Governo per l’indebitamento netto dell’anno.

Tra l’altro la previsione del Governo di realizzare maggiori entrate per imposte dirette nel 2016 è in linea con la dinamica delle entrate tributarie del bilancio dello Stato osservata fino a questo momento. Nei primi otto mesi dell’anno, al netto di lotto e lotterie, esse sono cresciute del 4,0 per cento rispetto al periodo corrispondente del 2015, sospinte in particolare dal buon andamento delle imposte versate in autotassazione.

Nelle stime della Nota, la spesa primaria rimarrebbe sostanzialmente stabile, contro una crescita del prodotto nominale dell’1,8 per cento. La pressione fiscale diminuirebbe di 0,7 punti di PIL.

Il disavanzo strutturale, ossia al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee, aumenterebbe invece di mezzo punto percentuale del PIL rispetto al 2015, attestandosi – nel quadro programmatico – all’1,2 per cento.

Il motivo per cui, nel quadro programmatico per il 2016, l’indebitamento netto in rapporto al PIL si riduce ma il disavanzo strutturale aumenta consiste nel miglioramento della situazione congiunturale rispetto al 2015. La contrazione dell’output gap (circa un punto percentuale, come misurato sulla base della metodologia stabilita in sede europea con l’orizzonte temporale della previsione macroeconomica sottostante di quattro anni) ha ridotto la componente ciclica negativa del disavanzo di oltre mezzo punto percentuale del PIL; d’altra parte anche l’avanzo primario corretto per il ciclo, riflettendo l’intonazione espansiva della politica di bilancio nel 2016, si è ridotto in misura analoga. L’ulteriore diminuzione della spesa per interessi (0,2 punti) ha consentito all’indebitamento netto di scendere anche nell’anno in corso.

Il peggioramento è più ampio di quello indicato nelle Raccomandazioni del Consiglio della UE dello scorso luglio, a fronte dei margini di flessibilità riconosciuti principalmente per riforme strutturali e investimenti. Nelle valutazioni del Governo, lo scostamento sarebbe “non significativo” e non dovrebbe quindi pregiudicare il rispetto della parte preventiva del Patto di stabilità e crescita nel 2016.

Per il 2016, secondo le regole di bilancio europee, il nostro Paese avrebbe dovuto realizzare un miglioramento del disavanzo strutturale pari a 0,5 punti percentuali del prodotto, ma in luglio il Consiglio ha accolto la richiesta italiana di riconoscere un margine di flessibilità per la realizzazione di riforme strutturali e di investimenti pubblici, per un totale di 0,75 punti percentuali del prodotto. Il disavanzo strutturale può quindi allentarsi di 0,25 punti. A questo potrebbe aggiungersi un ulteriore margine di 0,1 punti connesso con le spese per eventi eccezionali per la crisi migratoria e per la sicurezza, portando il peggioramento ammesso in complesso a 0,35 punti; la relativa valutazione sarà tuttavia effettuata dalla Commissione solo nella primavera del 2017 sulla base dei dati di consuntivo.

I margini di flessibilità sono stati riconosciuti a condizione che, in sede di valutazione del prossimo Documento programmatico di bilancio, la Commissione possa verificare il rispetto dell’impegno, assunto dal Governo in primavera, di riprendere nel 2017 il percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio di medio termine (il pareggio di bilancio in termini strutturali).

Secondo il DEF di aprile, nel 2016 l’incidenza del debito sul prodotto avrebbe cominciato a diminuire, seppure lievemente (0,3 punti percentuali). Nelle stime della Nota l’inversione di tendenza del debito è rinviata all’anno prossimo. Nel 2016 il rapporto tra il debito e il PIL cresce di 0,5 punti percentuali, raggiungendo il 132,8 per cento.

La revisione della stima è riconducibile per metà (0,4 punti percentuali) all’effetto meccanico della riduzione della previsione di crescita del PIL, che abbassa il denominatore del rapporto. Il resto è dovuto per la maggior parte a proventi da privatizzazioni inferiori a quanto programmato l’anno scorso e confermato nel DEF di aprile (0,1 per cento del PIL contro 0,5). Anche per le condizioni di mercato non favorevoli, negli ultimi anni l’ammontare delle privatizzazioni effettivamente realizzato è stato quasi sempre inferiore ai programmi.

Peraltro, in conseguenza delle recenti revisioni del PIL e del valore nominale del debito, il rapporto fra il debito e il prodotto nel 2015 risulta pari al 132,3 per cento del PIL, valore inferiore di 0,4 punti percentuali rispetto a quanto pubblicato nel DEF in primavera.

3. Le previsioni e i programmi per i conti pubblici nel 2017-19

Passo ora a commentare l’andamento dei conti pubblici nei prossimi anni, analizzando come di consueto prima quello previsto a legislazione vigente (stime tendenziali), poi i programmi che tengono conto degli interventi che il Governo intende attuare con la prossima legge di bilancio.

Le previsioni a legislazione vigente. – L’indebitamento netto tendenziale diminuirebbe gradualmente nel triennio 2017-19; alla fine dell’orizzonte di programmazione si raggiungerebbe il pareggio di bilancio nominale. Rispetto alle previsioni del DEF, la Nota rivede al rialzo di 0,2 punti percentuali del PIL l’indebitamento netto del 2017 (all’1,6 per cento) e di circa 0,4 punti percentuali in media quello dei due anni successivi. Le revisioni riflettono essenzialmente gli effetti del rallentamento della dinamica del prodotto, in parte compensati da una riduzione della spesa per interessi (circa 0,1 punti del prodotto in media nel triennio).

L’avanzo primario in rapporto al PIL aumenterebbe dall’1,5 per cento atteso per l’anno in corso al 2,1 del 2017, fino a raggiungere il 3,4 per cento alla fine dell’orizzonte di previsione, con una revisione al ribasso di circa 0,4 punti percentuali in media all’anno rispetto alle stime di aprile. L’indebitamento netto strutturale diminuirebbe di 0,6 punti nel 2017; continuerebbe a ridursi nel biennio successivo, raggiungendo lo 0,2 per cento del prodotto nel 2019 (contro un avanzo di 0,1 punti previsto nel DEF di aprile).

Nello scenario tendenziale, il debito delle Amministrazioni pubbliche comincerebbe a diminuire l’anno prossimo; nel biennio successivo il calo sarebbe più marcato; al termine dell’orizzonte previsivo il debito sarebbe pari al 126,1 per cento. Rispetto al DEF di aprile, che prevedeva una flessione già a partire da quest’anno, la riduzione del rapporto tra debito e PIL nel triennio 2017-19 sarebbe inferiore di oltre due punti percentuali.

I programmi e gli interventi. – L’orientamento della politica di bilancio, misurato dalla variazione dell’avanzo primario corretto per gli effetti del ciclo economico, rimane pressoché invariato rispetto a quanto programmato ad aprile; le variazioni degli obiettivi dipendono quindi anche in questo caso essenzialmente dal peggioramento della congiuntura rispetto alle previsioni di allora. La politica di bilancio rimarrebbe espansiva nel 2017 e diventerebbe moderatamente restrittiva nel biennio seguente.

L’avanzo primario corretto per gli effetti del ciclo si ridurrebbe dal 2,9 per cento del PIL nel 2016 al 2,6 per cento nel 2017; nel biennio successivo aumenterebbe progressivamente fino al 3,2 per cento del 2019.

L’indebitamento netto programmato per il 2017 è pari al 2,0 per cento del prodotto (contro l’1,6 per cento del valore tendenziale). Il saldo strutturale è invariato rispetto all’anno precedente. Il DEF di aprile fissava un obiettivo per l’indebitamento netto del 2017 pari all’1,8 per cento e un miglioramento del saldo strutturale di 0,1 punti.

Il Governo ritiene che, data la situazione congiunturale, sia controproducente una correzione strutturale nel 2017.

Nel DEF di aprile la stima dell’output gap nel 2017 era negativa e pari a poco più di un punto percentuale del prodotto potenziale; nel 2018 l’output gap sostanzialmente si annullava, per diventare positivo nel 2019 (0,7 punti percentuali). Nella Nota di aggiornamento, invece, si prevede – sempre utilizzando il metodo di stima della Commissione europea – un output gap per il 2017 pari a -1,7 per cento, che si riduce nel 2018 e si azzera nel 2019.

Come era stato già annunciato nel DEF, nel 2017 il Governo intende evitare l’inasprimento delle imposte indirette disposto dalla legge di stabilità per il 2015 e compensarne solo in parte gli effetti, con interventi di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e di revisione della spesa. Un’analisi accurata dell’efficacia dei provvedimenti relativi all’evasione adottati in passato (ad esempio lo split payment o il reverse charge) permetterebbe di indirizzare le misure di prevenzione e contrasto verso gli strumenti che, alla prova dei fatti, si sono rilevati più efficaci.

Le clausole di salvaguardia prevedevano un aumento delle aliquote dell’IVA (e dal 2018 anche delle accise sugli olii minerali) tale da garantire un maggiore gettito pari a 15,1 miliardi nel 2017 e a 19,6 miliardi a partire dall’anno successivo. Per il 2017 il Governo annuncia inoltre ulteriori interventi principalmente in materia previdenziale e di sostegno degli investimenti pubblici e privati, che verranno definiti con il disegno di legge di bilancio che verrà presentato al Parlamento entro il 20 ottobre.

La Nota non riporta indicazioni specifiche relative ai principali ambiti di intervento della manovra di finanza pubblica per il prossimo triennio e agli effetti finanziari attesi in termini di entrata e di spesa.

Come ho già ricordato con riferimento al quadro macroeconomico, per il 2017 il Governo chiede inoltre al Parlamento l’autorizzazione ad ampliare, se necessario, l’indebitamento netto fino a un massimo di 0,4 punti percentuali del prodotto (7,7 miliardi). Nella richiesta viene precisato che l’eventuale aumento del disavanzo rifletterebbe spese connesse con “eventi eccezionali”, in particolare per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare e per la gestione dei flussi migratori. Gli effetti di queste eventuali spese non sono inclusi nel quadro programmatico.

L’indebitamento netto si ridurrebbe all’1,2 per cento del PIL nel 2018 e allo 0,2 per cento nel 2019. In termini di disavanzo strutturale l’aggiustamento riprenderebbe nel 2018 e il sostanziale pareggio di bilancio (ossia l’obiettivo di medio termine dell’Italia) sarebbe raggiunto nel 2019, come già previsto nel DEF di aprile.

L’incidenza del debito sul prodotto inizierebbe a diminuire nel 2017; alla fine dell’orizzonte previsivo (2019) la riduzione sarebbe inferiore a quella indicata nel quadro tendenziale di circa mezzo punto percentuale. Alla riduzione del debito contribuirebbero i proventi delle privatizzazioni, i cui obiettivi per il triennio 2017-19 sono rimasti immutati rispetto a quanto previsto nel DEF di aprile (0,5 per cento del prodotto all’anno nel biennio 2017-18 e 0,3 per cento nel 2019). Nel triennio la riduzione dell’incidenza del debito sul prodotto sarebbe inferiore a quanto programmato in primavera (6,2 punti percentuali invece di 8,6), risentendo soprattutto degli effetti di una crescita attesa del prodotto nominale più contenuta.

Come indicato nella Nota, e già anche in aprile nel DEF, il criterio numerico della regola del debito non sarebbe rispettato né nell’anno in corso né in quello successivo. Ad aprile la distanza dagli obiettivi previsti dalla regola sul debito era più limitata; in quell’occasione il Governo aveva esplicitamente richiamato i fattori rilevanti – quali la bassa inflazione – alla luce dei quali non vi sarebbe una violazione della regola, nonostante il mancato raggiungimento del benchmark quantitativo.

Nelle valutazioni del Governo gli obiettivi della Nota sono coerenti con le regole europee, tenendo conto del peggioramento delle condizioni cicliche e della revisione della stima dell’output gap. La Commissione europea si esprimerà in merito in novembre, in sede di valutazione del Documento programmatico di bilancio.

A maggio la Commissione, nel valutare il Programma di stabilità dell’Italia, aveva segnalato il rischio di una deviazione significativa dagli obiettivi fissati dalle regole europee e richiesto di accrescere l’aggiustamento strutturale nel 2017 rispetto a quanto programmato. La Commissione, inoltre, condizionava la concessione dei margini di flessibilità nel 2016 (nel complesso 0,85 punti percentuali del prodotto) alla ripresa del consolidamento nel 2017.

Conclusioni

Signor Presidente, Onorevoli Deputati, Onorevoli Senatori,

riassumo, prima di terminare, i principali elementi che ho creduto utile presentare e formulo alcune considerazioni conclusive.

Lo scenario macroeconomico tendenziale per il biennio 2016-17 tiene conto in modo prudente del peggioramento del contesto esterno; sulla base delle informazioni disponibili esso appare quindi condivisibile.

I dati sui flussi di cassa delle Amministrazioni pubbliche sono fino a questo momento coerenti con la stima di disavanzo del Governo per il 2016.

Nello scenario programmatico per il 2017, la dinamica del prodotto è significativamente maggiore di quella del quadro tendenziale. L’obiettivo è ambizioso. La previsione è basata su una composizione della manovra sulla quale la Nota non fornisce informazioni di dettaglio. Per conseguire il risultato la prossima legge di bilancio dovrà essere definita con grande cura.

Con riferimento alle misure di sostegno alla crescita, sarebbe opportuno concentrare l’attenzione su quelle che possono favorire una rapida ripresa degli investimenti sia privati sia pubblici. Per questi ultimi in particolare occorre assicurare non solo lo stanziamento di risorse, ma anche presidi per un’efficiente e tempestivo loro utilizzo. Gli effetti recessivi delle necessarie coperture finanziarie potranno essere contenuti se si riusciranno a individuare sprechi da eliminare e a contenere i costi di funzionamento della amministrazione pubblica.

Anche nel 2016, se le previsioni saranno confermate, l’incidenza delle spese primarie correnti sul PIL diminuirà lievemente, proseguendo la tendenza dell’ultimo biennio (correggendo per il credito di imposta per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi). Ritengo la riduzione della spesa un risultato importante; è anzi indispensabile proseguire con sempre maggiore determinazione su questa strada, se si vogliono tenere i conti pubblici sotto controllo senza contare soltanto sul livello oggi eccezionalmente basso dei tassi di interesse e senza comprimere gli investimenti, il cui rilancio è invece necessario per la crescita. I progressi saranno tanto più intensi, solidi e duraturi, quanto più gli sforzi di contenimento delle erogazioni realizzati negli ultimi anni saranno sistematici e inquadrati in un progetto capillare di revisione della spesa.

L’economia italiana beneficia della politica monetaria eccezionalmente espansiva nell’area dell’euro. Non è un motivo per non agire, tutt’altro: le altre politiche economiche possono e devono sfruttare lo spazio che essa crea. I minori oneri per interessi consentono di avviare la riduzione del debito pubblico senza frenare l’economia: una questione essenziale per un paese come l’Italia, dove il peso del debito pubblico ereditato dal passato è così alto. Lo stimolo congiunturale permette di attenuare i costi di breve periodo delle riforme strutturali, creando le condizioni per accelerarne l’attuazione; agevola il rilancio, il completamento delle riforme.

La riduzione del peso del debito sull’economia resta un obiettivo strategico. Sul suo mancato avvio quest’anno hanno gravato certamente la dinamica poco favorevole del denominatore e la difficoltà di realizzare, in condizioni di mercato avverse, le privatizzazioni originariamente previste. È fuor di dubbio che le condizioni del mercato rilevino per decidere quali privatizzazioni effettuare e quando. Se da un lato è quindi bene formulare previsioni caute su quanto si riuscirà di fatto a privatizzare anno per anno, dall’altro definire scelte strategiche chiare, ambiziose, potrà consentire di attivarsi rapidamente e per importi significativi quando le condizioni di mercato lo permetteranno. Un’appropriata strategia di privatizzazione non contribuisce solo a ridurre il debito: dovrebbe anche perseguire l’obiettivo di accrescere l’efficienza, in un quadro di adeguate regole e controlli.

* Audizione Corte dei Conti: conclusioni

Nel complesso, le modifiche previste con la Nota appaiono dare al quadro macroeconomico tendenziale un profilo di maggiore prudenza almeno per quello che riguarda l’anno in corso e il prossimo. Si intravedono, tuttavia, potenziali elementi di fragilità del quadro economico che si riflettono sul percorso programmatico di finanza pubblica. Tali elementi vanno ricondotti soprattutto ad un fattore esogeno: un profilo di domanda internazionale che potrebbe essere, specie nel medio periodo, meno favorevole di quanto prefigurato. Ne deriverebbe un rischio al ribasso per le prospettive delle nostre esportazioni e quindi di crescita complessiva con conseguenti risvolti avversi sul percorso programmatico di finanza pubblica. Il DEF 2016 aveva proposto un impianto di politica di bilancio supportato dalla previsione di una ripresa dell’economia che si mostra oggi assai meno robusta di quanto atteso ed esposta ad ulteriori rischi.

Dal punto di vista delle scelte di policy l’impianto del Documento di aprile poggiava da un lato, sulla conferma della volontà di sfruttare appieno i margini di flessibilità offerti dal Patto di stabilità e crescita (e derogare quindi alla regola standard che chiede ai paesi nel braccio preventivo del PSC di migliorare anno dopo anno il loro disavanzo strutturale) e dall’altro, sulla scelta di disattivare gli inasprimenti di pressione fiscale derivanti dagli incrementi di IVA già in legislazione (clausole di salvaguardia) e spingere sensibilmente nella direzione del sostegno della domanda interna.

Queste due scelte sono confermate nella Nota di aggiornamento. Ma ciò avviene rinviando sia l’inversione del trend di crescita del rapporto debito/Pil nel 2016 (ora posticipato al 2017), sia il lieve miglioramento del saldo strutturale di bilancio del prossimo esercizio.

Non è ancora conosciuta la dimensione complessiva della manovra. Oltre alla copertura del mancato aumento dell’IVA, il Governo annuncia l’individuazione di risorse da destinare agli interventi a sostegno della crescita e a misure di carattere sociale e previdenziale prefigurate nella Nota.

Ancora una volta sarà proprio la capacità di ridurre il livello delle uscite primarie che potrebbe rivelarsi il fattore chiave nel giudizio che andrà formandosi sulla sostenibilità delle scelte di bilancio prospettate. Ridurre la spesa significa, infatti, muoversi lungo un’ipotesi di progressivo restringimento della sfera occupata dall’operatore pubblico. Rinviando per una valutazione complessiva al momento in cui saranno più chiari i caratteri delle misure proposte, va sottolineato che in questi anni di crisi l’Italia è stata capace di controllare, in situazioni di contesto difficilissime (quasi 10 punti di perdita di Pil reale, circa 25 di produzione industriale e circa 30 di investimenti fissi lordi) i flussi della propria finanza pubblica. Essa ha pagato, tuttavia, le pesanti condizioni iniziali (stock di debito elevato ad inizio crisi) ed ha dovuto sperimentare un incremento di debito rilevante, di cui circa un terzo proprio dovuto alle più severe condizioni di partenza. Il controllo della spesa si è mostrato significativo: nel quinquennio 2011-15 si è registrata una riduzione della spesa corrente primaria reale nonostante il calo di prodotto: in valore assoluto la spesa corrente, sempre aggiustata per l’inflazione, è prima caduta e poi si è sostanzialmente stabilizzata.

Non può essere dimenticato, tuttavia, che nel periodo successivo all’ammissione all’euro la spesa primaria è cresciuta in Italia più che in Francia e Germania, nonostante che il livello del debito fosse già significativamente più elevato rispetto a quei paesi, i quali, peraltro, hanno potuto beneficiare di risparmi di spesa per interessi meno rilevanti di quelli ottenuti dall’Italia. Ne è conseguita una crescita della pressione fiscale particolarmente severa: l’indice di intermediazione del settore pubblico, approssimato dalla somma di entrate e spese pubbliche su Pil, ha conosciuto nel 2015 il livello più elevato degli ultimi decenni.

Infine, va sottolineata ancora una volta la necessità che le risorse liberate da un più graduale processo di convergenza verso gli equilibri di bilancio siano destinate ad interventi in grado di incidere sul potenziale di crescita del Paese. Di qui, l’urgenza di rimuovere gli ostacoli che rallentano la realizzazione di una politica di ammodernamento delle infrastrutture con un coerente quadro di responsabilità organizzative, decisionali e finanziarie che riducano le incertezze che oggi condizionano anche l’operatore pubblico. I ristretti margini di manovra che si evidenziano nella Nota, a fronte delle necessità crescenti di un riadeguamento strutturale in grado di incidere effettivamente sulla produttività del sistema, portano a ritenere ancora attuale l’esigenza, già sottolineata dalla Corte in sede di Audizione al DEF 2016 e nel Rapporto di coordinamento 2016, di un attento “processo di riperimetrazione” dell’offerta di servizi pubblici in grado di attivare, con l’ausilio del mercato, un adeguato volume di investimenti.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi