Aiuto, si replica! Sul referendum costituzionale il “copione Brexit”

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-di ANTONIO MAGLIE-

Il quotidiano “la Repubblica” attraverso la firma autorevole di Federico Rampini comunica, in questo “ponte” ferragostano con poche notizie e molte illazioni per lo più non particolarmente fondate, che la stampa internazionale considera il referendum costituzionale italiano più rischioso di quello su Brexit. E giù un elenco di testate che con la questione si sono esercitate: dal New York Times al Wall Street Journal, dal Financial Times al Pais (che pure dovrebbe spendere un po’ della sua attenzione alle questioni spagnole che non sembrano più semplici di quelle italiane). Ovviamente non mancano le voci di grandi finanzieri come George Soros che, come è noto, dai tempi di incertezza traggono alimento per i propri conti “paradisiaci”: anche loro tremendamente in ambasce per quello che potrà avvenire dopo quel voto, in particolare se dovesse vincere l’area del “no”.

Chi conosce il mondo della comunicazione sa che ferragosto è normalmente un periodo in cui per necessità pratiche occorre fornire una motivazione per indurre i “clienti” ad avvicinarsi a un’edicola e di motivazioni ve ne sono oggettivamente poche (qualche incidente stradale, annegamenti, sciagure montane). Ecco, allora, che occorre “costruire” semmai ingigantendo. In più stiamo da tempo assistendo a un copione che è andato in scena (con pochissima fortuna dal punto di vista del “remain”) in occasione del referendum britannico. Ha cominciato la Confindustria e stanno proseguendo i potenti circoli economico-finanziari che considerano la consultazione italiana, come una ottima occasione. Una occasione, però, non un dato oggettivo. L’altro giorno un Think Tank inglese che si definisce indipendente (ma in realtà è guidato da un ex ministro del governo Cameron) ha, ad esempio, spiegato che per i lavoratori britannici la Brexit si rivelerà un pessimo affare perché certo determinerà un aumento dei loro salari a causa della minore concorrenza sul mercato del lavoro degli immigrati, ma poi quel beneficio sarà annullato da un incremento dell’inflazione e da una rallentata crescita economica. Insomma, da certi punti di vista anche fenomeni poco commendevoli come il dumping sociale (concorrenza sul mercato del lavoro di soggetti meno protetti, aumento del cosiddetto “esercito di riserva” funzionale alla riduzione degli stipendi e allo scardinamento delle protezioni di legge) vengono visti come motivazioni sufficienti per sostenere una posizione invece di un altra. 

Bisogna solo chiedersi perché mai quei circoli facciano il tifo per quella posizione. Forse perché sarebbe più semplice e agevole condizionare nelle scelte soltanto il governo che avrebbe mani più di libere invece di un intero parlamento o di un sistema politico complesso in cui il gioco degli equilibri tra i poteri impone; come dire, un “lavoro” di lobbing più vasto, impegnativo e articolato? Come diceva un noto politico della prima Repubblica a pensar male si fa peccato ma si azzecca sempre. Ovviamente, la “buona fede” dei giornali stranieri e nazionali in questione è fuori discussione. Ma dato che da un po’ di tempo a questa parte l’informazione scritta (forse anche a causa della crisi diffusional) abbastanza di rado riesce a regalare delle previsioni attendibili (sfiorando spesso con le proprie comunicazioni l’inattendibilità delle previsioni meteo di certi siti che puntano a guadagnare audience con il sensazionalismo degli annunci), forse sarebbe meglio che concentrasse con una certa equanimità di vedute sulla sostanza della questione (i contenuti), semmai lasciando perdere Soros e compagni che non hanno certo le capacità predittive dell’oracolo di Delfi.

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