Libia, guerra e pace: tra “anime belle” e amnesie

Libia

-di ANTONIO MAGLIE-

Di tanto in tanto, Pierferdinando Casini, “enfant prodige” della politica italiana condannato precocemente all’oblio (da questo punto di vista Silvio Berlusconi ha ragione: chi lo abbandona normalmente scompare dalla scena politica o viene ridotto al rango di comparsa), prova a recuperare il centro del palcoscenico, rimpiangendo evidentemente i tempi in cui si sentiva destinato a ben altri successi. Ha deciso di farlo in qualità di presidente della Commissione Esteri del Senato e lo ha fatto svelandoci una straordinaria verità a proposito del raid aereo americano in Libia, cioè davanti casa nostra: “Solo le anime belle possono pensare che la pace non abbia costi”.

Il problema, però, non sono le anime belle ma i politici che soffrono di amnesia. Da quindici anni, cioè dall’abbattimento delle Torri Gemelle in poi, l’Occidente persegue l’obiettivo della stabilizzazione della pace e della democrazia attraverso la guerra. Non basta. È da oltre vent’anni che ci viene raccontato che esistono le “guerre umanitarie”: abbiamo sganciato bombe un po’ ovunque intorno a noi dando a queste azioni una verniciata di nobiltà. Come a dire: scusateci, ora vi prendiamo a cannonate, produciamo un po’ di morti ma poi vivrete in pace. In molti, in effetti, hanno raggiunto la pace: quella eterna in un cimitero. 

Abbiamo accettato le scelte militari che venivano imposte da presidenti degli Stati Uniti e leader (per giunta laburisti) inglesi sulla base di grandi bugie costruite anche un po’ maldestramente a tavolino. In Iraq le armi di distruzione di massa non sono state trovate, in compenso abbiamo avuto la conferma che la tesi che voleva Saddam a un passo dalla costruzione della bomba atomica era infondata. Abbiamo raggiunto un tale grado di stabilità che dall’Afghanistan non possiamo ritornare perché se lo facessimo (come dimostrano gli ultimi attentati) i talebani il giorno dopo ritornerebbero padroni dell’intero paese. In Iraq si combatte con buona pace di George W. Bush che con infondata frettolosità aveva provveduto a dichiarare la “guerra finita”: è così finita che il paese annega nel sangue e politicamente appare sempre di più un puzzle non ricomponibile. 

In Libia abbiamo abbattuto Gheddafi, cosa positiva almeno per un aspetto: non siamo costretti ad assistere a certi avvilenti spettacoli che accompagnavano le sue visite nel nostro paese, tra amazzoni, tende in giardino e baciamano. In compenso ci siamo fatti trascinare da Sarkozy (che dopo aver seminato instabilità anche in Francia, ora riemerge e indica soluzioni a un problema, il terrorismo islamico, che forse ha tratto alimento pure dalle sue scelte precedenti) in una guerra incauta e senza fine. Casini, però, è soddisfatto: il bombardamento adesso è stato chiesto dal capo ufficiale (nel senso riconosciuto dall’Occidente) della Libia, Fayez al-Sarraj. Chi si accontenta gode. Ma passando di guerra in guerra ci condanniamo all’instabilità senza fine. E in assenza di leadership più che forti, autorevoli, continueremo a illuderci che con qualche bomba più o meno (molto meno) intelligente risolveremo la questione. Mentre semmai l’avremo solo temporaneamente occultata o spostata un po’ più a nord, o a sud, o a est o a ovest.

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