La “bomba” petrolifera

 

-di SANDRO ROAZZI-

Da Doha a Francoforte. La tormentata questione del petrolio rischia di rendere ancora più difficile la scommessa della Bce di Draghi sulla ripresa dell’economia europea e sulle possibilità di sfuggire ad una lunga stagione di deflazione. E rimette in ansia il cammino dell’euro. La rottura fra Iran e Arabia Saudita non sembra essere definitiva anche perché comunque rischia di tradursi in un boomerang alla lunga per le stesse condizioni di vita di quei Paesi, ed in parte già lo è. Inoltre un’onda lunga dell’attuale deprezzamento del petrolio finirebbe per acuire le difficoltà di altre economie di Paesi produttori di oro nero già destabilizzati come Venezuela e Brasile, od acuendo i problemi economici e sociali in cui si dibatte la stessa Russia con una inflazione attorno al 18%.     Scenari che potrebbero rendere ancora più incandescente l’estate che ci attende. E’ auspicabile come ha osservato il ministro russo presente a Doha che alla fine a giugno un compromesso sia possibile anche se l’incrocio degli interessi, delle diversità geopolitiche, delle tensioni religiose è tale da rendere il lavoro diplomatico sotto traccia che inevitabilmente si svilupperà nelle prossime settimane una tela di Penelope dagli incerti esiti. Neppure gli Stati Uniti sono al riparo da questi fenomeni sussultori, visto che l’ esplosione della produzione dello shale che non solo garantisce l’autosufficienza energetica ma anche nuove esportazioni è sostenibile solo se il prezzo del petrolio sul mercato mondiale si attesti al di sopra degli attuali livelli, pena il default di molte società estrattive in Usa con conseguenze di carattere finanziario molto serie a detta degli esperti. I margini per una intesa comunque ci sarebbero se pensiamo allo spazio che esiste per manovrare il prezzo del petrolio fra i 70 dollari sotto i quali produrre shale non è conveniente e i 5 dollari che sono lo zoccolo duro ed insuperabile per l’estrazione del petrolio nei Paesi dell’Opec. Ma mai come in questo caso conta la volontà politica.

            E’ evidente che la lunga recessione ha soffiato sul fuoco con una offerta di petrolio superiore alla domanda di economie che stavano ripiegando su se stesse. Ed è altrettanto chiaro che una volta ritornato sulla scena mondiale senza i vincoli delle sanzioni l’Iran ha sfruttato questa libertà per garantirsi una sopravvivenza più dignitosa. Il che ha scatenato una prevedibile guerra per mantenere le quote di mercato con l’altro colosso dell’area, l’Arabia, mentre l’Isis da terzo incomodo ha sfruttato i giacimenti in suo possesso per vendere il petrolio in modo concorrenziale, praticamente in condizioni di dumping.
Si potrebbe argomentare che tutto questo però si risolve in un vantaggio per economie come la nostra, prive cioè di materie prime. E’ vero, ma fino ad un certo punto: intanto come si è visto il prezzo dei carburanti è sceso ma non come si poteva immaginare. Le compagnie petrolifere non mollano i loro margini ed il fisco fa il resto. Ma soprattutto i guai arrivano proprio dalla situazione in cui versano i Paesi produttori del Golfo, ottimi mercati per i nostri prodotti, specie per il made in Italy più raffinato. Va ricordato che ad esempio il pregiato marmo di Carrara finisce per metà almeno ad abbellire palazzi, hotel ed altri edifici dei Paesi del Golfo. E’ noto poi che da un po’ di tempo i fondi sovrani ritirano soldi investiti dall’Europa, incalzati da nuove necessità di bilancio interno. Insomma spendono di meno ed investono di meno. Per non parlare inoltre dei mercati costituiti da Brasile, Russia, Cina sottoposti ai contraccolpi di questo terremoto continuo. E questo avviene mentre la nostra economia ha invece bisogno di espandersi sui mercati esteri in una fase nella quale la domanda interna stenta ed arranca. L’orizzonte non è dei migliori, anche se parrebbe impensabile che il complesso di contrasti ed incertezze del presente navighi verso derive ancor più pericolose. L’Europa però dovrebbe uscire dal ruolo di spettatrice, far sentire la sua voce al più presto. In casi come questo l’attendismo genera impotenza. Nel nostro caso una stagnazione padrona. Meglio allora far di tutto per essere… liberi di scegliere il proprio futuro economico.

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